La forza liberatoria del pianto
Il pianto può essere un momento liberatorio, di riorganizzazione e crescita importantissimo per la persona e reprimerlo potrebbe essere un’occasione di riscoperta personale persa. Via libera alle lacrime!
“Da quanto tempo non piangi?”
È una domanda che faccio spesso la cui risposta può raccontare molto della persona.
Un po’ come la risata, il pianto è un comportamento innato all’essere umano con la funzione di aiutare la persona a stare meglio; tuttavia, a differenza della risata, non sempre piangere per dolore in modo libero e catartico viene socialmente ben accolto. Già a volte è difficile accogliere persino le lacrime di gioia!
L’eccessivo autocontrollo, d’altro canto, genera ulteriore tensione, stress che risulta spesso inevitabile nel momento in cui la maggior parte delle persone teme di apparire fragile o non sa accettare la fragilità, propria o altrui.
Eppure piangere fa davvero bene.
Quasi tutti i neonati piangono alla nascita, pur non lacrimando o lacrimando molto poco per l’immaturità delle ghiandole lacrimali, in modo da instaurare un prima forma di comunicazione indispensabile per la sopravvivenza. Il pianto, inoltre, sembra svolgere la funzione di eliminare le tossine dal corpo: le lacrime di un pianto emozionale presentano una composizione chimica differente da altre lacrimazioni!
Insomma piangere libera, “purifica” e rende le persone consce di un malessere che deve essere ascoltato, sfogato e rielaborato, come se rivestisse il ruolo di un campanello d’allarme e ci offrisse l’opportunità di rompere un equilibrio e crearne uno nuovo.